La locazione odierna deriva dalla “locatio conductio” che, in diritto romano, era un genus, più che un contratto autonomo.
Col termine locazione era indicato un contratto consensuale, col quale una parte (locatore) metteva a disposizione dell’altra (locatario/conduttore) una cosa, che quest’ultimo si obbligava a restituire dopo averla goduta per un certo tempo.
Includeva molte più tipolgie tanto che era divisa in tre categorie in base alla “cosa” (oggetto del contratto):
- locatio rei (di cosa,come l’attuale locazione);
- locatio operis (di opera);
- locatio operarum (di operae come giornate di lavoro).
La locatio conductio quindi può essere definita come scambio di un bene o di un servizio contro un prezzo (merx) a titolo provvisorio, ed in questa temporaneità del possesso consisterebbe la differenza con la compravendita, come evidenziato dal giurista romano Gaio (II sec.) nelle sue Istituzioni.
Le origini storiche della locatio conductio sono incerte; vi sono alcune ipotesi:
- lo si ricollega alle prime locazioni dello Stato;
- si affermò attraverso il iùs honoràrium
- una ipotesi esclude la derivazione dal “precàrium”, con il quale poteva ravvisarsi solo un’identità di funzione.
Si è rilevato che la vendita e la locazione, nel diritto romano, non furono nettamente distinte, poiché entrambe potevano essere costitutive di sole obbligazioni; ciò che le distingueva era la funzione del contratto:
- la vendita attribuiva al compratore un potere assoluto e definitivo;
- la locazione attribuiva solo il godimento della cosa.
Il contratto di locazione aveva di solito una durata determinata, ma poteva essere stipulato anche in perpetuum.
Un tale contratto veniva da alcuni giuristi qualificati come compravendita.
A tutela del locatore e del conduttore erano apprestate, rispettivamente, un’actio locàti ed un’actio condùcti (azioni di buona fede).
Elementi essenziali della erano la res (che venivano locate) e la mèrces (il corrispettivo).
La merces doveva essere certa e consisteva in pagamento monetario.